Quando ho finito di scrivere questo articolo mi sono chiesto, come solitamente faccio, quale titolo gli avrei dato. Stavolta non ci ho dovuto pensare molto, non avevo bisogno di cercare più di tanto perché, nella sua semplicità, l’unico titolo possibile era questo. Sì, ma quale punteggiatura usare per il titolo? Su questo aspetto un po’ ho dovuto rifletterci… Poi ho deciso: non l’ho volutamente chiuso con la punteggiatura per lasciare aperta l’interpretazione. Il punto esclamativo, i tre puntini sospensivi, il punto interrogativo o il punto, avrebbero tutti potuto trovare asilo al termine della frase con uguale dignità, però ognuno di essi ti avrebbe guidato in un sentiero diverso della lettura. Proprio come potrebbe accadere ad una stessa frase che, ripetuta con toni diversi, assumerebbe sfumature diverse e diverse sarebbero le reazioni suscitate in chi le ascolta.
Ma torniamo a noi… L’ho scritto più volte in articoli passati, ma lo ripeto senza paura di essere noioso: la meraviglia è la chiave che mette in moto la nostra vita. Ogni giorno, il presente, è un dono che va assaporato con la gioia con cui gli occhi dei bambini, curiosi e affamati, si meravigliano davanti alle piccole grandi scoperte della quotidianità.
Ho iniziato a lavorare a questo articolo il cinque febbraio e il cassetto dei ricordi si è aperto come azionato da un timer invisibile riportandomi indietro al cinque febbraio del 1989, che è il giorno in cui ho aperto gli occhi sul mio destino, quando le nuvole finalmente sono state spazzate via da un vento chiarificatore mostrandomi la mia stella polare, quella che cercavo da anni e che ancora non ero riuscito a trovare.
In quel momento, da giovanissimo insegnante di scienze matematiche, fisiche e naturali, curiosamente incaricato di fare da supplente proprio al mio stesso professore di matematica, ero alla ricerca di quella scarica elettrica che mi facesse battere il cuore, che gli desse vita. Una ricerca che tutti iniziamo ma che non tutti riusciamo a finire. Tante sono le persone che non riescono a trovare quella X sulla mappa, a trovare il tesoro con cui vivere felici.
Questa stella polare, quella X sulla mappa, io so di averla trovata una domenica del 1989, il cinque febbraio, in un’aula gremita di ascoltatori come me, durante il corso Memotec tenuto da Daniele Fava Messina, uno degli allievi diretti di Giancarlo Nacinelli. Erano esperienze nuove per l’epoca, sentivamo parlare in Italia per la prima volta, in quel modo, di mnemotecniche, lettura veloce, super apprendimento. Anche io ero lì, incuriosito da queste novità arrivate dall’America, a pendere dalle labbra dell’oratore che ci stava illuminando con gesti e parole sulle infinite potenzialità della mente, qualcosa che fino a pochi minuti prima ignoravamo completamente. Ero colmo di meraviglia. I miei occhi erano quelli di un bambino che per la prima volta scopre qualcosa. E ho cominciato a vivere davvero. La scarica elettrica era arrivata…
Ho cominciato a vivere davvero perché è stato in quel momento che ho sentito dentro di me il vento soffiare e, mentre le nuvole si diradavano, all’apparire della mia stella polare ho sentito la voce interiore sussurrarmi: “Andrea, ecco cosa devi fare”. Una vocazione laica, ma non meno profonda di quella religiosa.
Avevo già vissuto delle “chiamate”. La prima fu quando Don Franco, il sacerdote del mio oratorio, mi chiese la disponibilità per fare il catechista. Avevo 14 anni e ricordo le mie prime timide lezioni con diapositive e proiezioni. Poi le mie insicurezze quando si dovevano organizzare giochi e attività all’aperto, insicurezze riguardo la mia creatività, che ancora non avevo avuto modo di esprimere e sperimentare.
Oggi sorrido ripensando a quelle ore e a quelle attività che, con le dovute differenze, sono molto simili a quelle che propongo nel mio lavoro oggi ai manager di grandi multinazionali…
La seconda “chiamata” arrivò da un altro sacerdote quando mi chiese di fare da guida nelle gite in Europa con ragazzi più giovani. Due chiamate nitide, insieme alla terza, quella dell’insegnamento, che differiscono con quella del cinque febbraio in un punto sostanziale e decisivo.
Il cinque febbraio 1989 la chiamata fu interiore, fu Andrea a capire cosa volesse fare e a dire: “Voglio diventare una guida, un insegnante degli adulti”.
Da quel momento, da quel preciso momento di una domenica qualunque di un febbraio del 1989 è iniziata la mia carriera, che oggi mi ha portato qui, anche a scrivere queste considerazioni per te, con la speranza che ti siano di ispirazione e che ti diano “coraggio” nel non abbandonare la ricerca del tuo “perché” su questa terra.
Quando si aprono gli occhi, forse solo per un attimo, e siamo in grado di vedere o desiderare qualcosa, la forza che gonfia i nostri muscoli è tale che potremmo superare qualunque ostacolo per raggiungerla. In un certo senso siamo noi che plasmiamo la nostra realtà già solo con il desiderio ardente; come un artista che immagina la sua opera, ci perde il sonno per costruirla nella sua mente nei minimi particolari, e poi la realizza. Perché non può farne a meno. È il suo destino.
Non lo so, ma ho l’impressione che quando si desideri davvero qualcosa l’universo sembra attivarsi per fare in modo che si realizzi. Ci sono teorie a riguardo, decisamente commerciali e ancora con non molti dati scientifici a supportarle, ma perché non credere che la volontà, soprattutto quando indirizzata al Bene, possa mettere in moto meccanismi sconosciuti e invisibili che ci aiutino a realizzare lo scopo per cui siamo al mondo?
Apriamo gli occhi. L’intelligenza emotiva e la gestione del tempo sono gli strumenti base per comprendere, mentre camminiamo, se stiamo percorrendo la strada che è davvero nostra, quella che è stata costruita solo per noi. Apri gli occhi, allora, e inizia a vivere davvero.
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Ti aspetto,
Andrea