Un bimbo dagli occhi svegli, o una bimba dallo sguardo curioso e intelligente:
“Papà, a che cosa serve questa cosa?”
Il papà risponde e glielo spiega.

“Perché?”
Il papà ci pensa un attimo e poi glielo dice.

“Perché?”
Un sorriso si affaccia sulle labbra del padre che risponde anche a quel secondo “perché”, ben sapendo che non sarà l’ultimo. E infatti…

“Perché?”

I bambini chiedono continuamente “perché”. Non si accontentano della prima risposta, non gli basta: sono delle scavatrici a forma di guanciotte morbide e nasini gocciolanti che non si fermano alla superficie, ma cercano la profondità, il fine ultimo e l’origine al tempo stesso di tutto. Una caratteristica splendida che, purtroppo quasi tutti, perdono crescendo: mettiamo nel garage la scavatrice e la facciamo arrugginire, lasciandola ricoprire di ragnatele.

I bimbi chiedono il perché delle cose. Ma solo le cose hanno un perché? E le persone?

Proviamo a pensarci un attimo. Ogni giorno devi prendere migliaia di decisioni, da quelle apparentemente più insignificanti e apparentemente prive di ramificazioni consequenziali, a quelle oggettivamente più importanti e gravose. Sì, ma perché?

Scavalcando il tronco d’albero che abbiamo davanti, quello che ci impedisce di proseguire nel percorso, andiamo oltre e chiediamoci cosa ci sia dopo la risposta immediata alla domanda: “perché faccio questa cosa?”. Scaviamo.

Nel mondo dell’intelligenza emotiva, questo “perché” a forma di vanga risiede solitamente nella competenza “perseguire obiettivi eccellenti”, che deriva dall’inglese “obiettivi NOBILI”.

L’obiettivo nobile è un po’ la stella polare che ci indica la via dove siamo diretti, è il perché di tutte le cose che facciamo.

Scaviamo. Noi ce l’abbiamo il nostro “perché”? Togliamo la polvere dalla scavatrice che è ferma da quando avevamo dieci anni e proviamo a rimetterlo in moto. E non lasciamoci sconfortare dalla difficoltà di far ripartire un motore immobile da così tanto tempo: ce l’hai un tuo perché?

Lo vedi nitido dentro di te, definito e ben comprensibile? Oppure la tua stella polare emana solo un baluginio intermittente, nascosta dalle nubi che si avvicendano buie oscurandone la luce?

“Perché”. È una parolina magica che se appoggiata sul mobile del futuro inizia a luccicare, si apre come un contenitore di gioielli preziosi e illumina tutta la stanza; se la sistemiamo su un tavolino del passato, si confonde nell’anonimato e quasi scompare ai nostri occhi. Ma com’è possibile? Eppure la parola è sempre la stessa, il numero e la disposizione delle lettere, quindi il suo senso, non cambia…

La risposta è nella posizione in cui la sistemiamo. Nel mondo del miglioramento personale, è fondamentale individuare il posto giusto dove collocare il nostro “perché”.

Quando lo collochiamo nel nostro passato, il “perché” è molto utile per farci comprendere le motivazioni, i sistemi di causa ed effetto, ma si inaridisce e diventa piuttosto sterile, perde di calore perché ci riporta degli apporti molto analitici, freddi, che non ci aiutano a capire il “come”. Questo fatto è avvenuto in passato per questo motivo: va bene, ma come ne esco? Il “perché” del passato non ce lo dice.

Se sei timido e non riesci a parlare serenamente in pubblico, puoi indagare per tutto il tempo che serve sul perché al cospetto di una qualunque platea il tuo viso diventi rosso, il cuore inizi a martellare e le mani a sudare. Potrai magari individuarne le cause, i semini originari che hanno dato vita a questa piantina che ha paura di affacciarsi nel giardino insieme agli altri fiori, ma per uscire dal buio della timidezza il perché da solo, non basta. Serve anche il “come”.

Nel passato, un determinato evento è già accaduto; non possiamo influenzarlo, impedire che accada in modo diverso o che addirittura non avvenga. Possiamo, però, lavorare sul futuro e impegnarci in modo che il passato ci insegni a come regolarci nel domani.

Se stamattina, mi auguro di no, hai trovato una multa sul tuo parabrezza, non puoi fare in modo che sparisca nel nulla: c’è, è oggettiva e immodificabile.  Indagando, puoi risalire al motivo per cui il vigile abbia deciso di fermarsi proprio vicino alla tua macchina e abbellirla con un fogliettino colorato.

Magari hai parcheggiato sulle strisce; oppure non hai visto il divieto di sosta. Al “perché” ci arriverai, ma ciò non ti aiuterà ad eliminare la multa. Potrai contestarla, ma non farla sparire con uno schiocco di dita.

Quello di veramente utile che potrai fare, però, è grazie al “come”, e cioè fare in modo che non accada più in futuro: la prossima volta che parcheggerai la macchina, presta più attenzione alla segnaletica e non ci saranno multe.

Il “come”. A differenza del passato, il futuro è costellato di “come”: come faccio a essere più ricco? Come faccio a permettermi quel viaggio alle Maldive? E così via.

Il “come”, in questo caso, è però carente del “perché”. Per quale motivo voglio essere più ricco? Per quale motivo voglio concedermi quel costoso viaggio alle Maldive?

Individuare questo “perché” nascosto tra le pieghe spesso confuse dei nostri desideri proiettati nel domani, ci permette di ricongiungerci con la nostra stella polare; il “perché” accoccolato tra i ricordi del passato ci riconduce a qualcosa di indefinito, di sfocato, perché noi siamo in grado di essere consapevoli soltanto del 4% di ciò che ci accade. Se ci pensi, è una percentuale terribile.

Sono gli occhi da bambino, la sua curiosità a farci spostare dalla nostra visuale i veli, le fette di prosciutto, diradare la nebbia consapevole e quella inconscia e farci così afferrare la coda della nostra stella guida e condurci ad un cammino consapevole. Il nostro grande “perché”.

Qual è il mio? Ispirare più persone possibile verso un desiderio, spingendoli a sentirsi affamati e a stimolare l’appetito per un’evoluzione interiore, per migliorarsi, in modo da restituire al mondo il Dono che abbiamo ricevuto, come fanno tutti gli elementi della Natura.

Lasciare un segno su questa terra, un’eredità. Questo mi collega alla quarta lettera L di Covey: Leave Your Legacy: lascia la tua migliore traccia, la tua eredità, sulla terra.

E tu lo conosci il tuo “perché”? Hai coraggio di perseguirlo?

Intanto pensaci, ma voglio lasciarti ora con un appuntamento, quando tratteremo questo argomento inaugurando un anno dedicato alla competenza che ci aiuta a cavalcare il nostro perché e che ci aiuta a renderlo possibile: l’Ottimismo.

Mi auguro di vederti online durante i prossimi EQ Cafè, con le tue risposte già trovate e con quelle che troveremo insieme.
Ti aspetto.

Andrea


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